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Musica

La musica ai tempi del CoViD-19: 5 album da ascoltare durante la quarantena

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La situazione è purtroppo questa: siamo bloccati in casa, senza poter vedere nessuno e molto spesso non sappiamo cosa fare. Ed eccomi a salvare la situazione consigliandovi 5 album da ascoltare per riempire le vostre giornate vuote.

Gli album sono messi in ordine casuale e sono stati scelti in base al mio gusto personale. Tutti gli album sono disponibili su Spotify, e cercherò di spaziare tra più generi possibili e tra più “epoche” ma soprattutto consiglierò album non troppo conosciuti, per non scadere nel banale.

Fortress – Protest The Hero (2008)

Cominciamo con del buon vecchio metal. Alle orecchie meno esperte o ad un ascolto poco attento potrebbe sembrare un album Metalcore come molti altri, ma invece non è così. Ci troviamo di fronte ad un album geniale e complesso, con infinite influenze dal Mathcore (di cui i Protest The Hero sono tra i maggiori esponenti della scena), genere che fonde Metalcore e Math Rock e dal Progressive Rock anni ’70.

L’album, che ruota tutto attorno al concetto della venerazione della divinità femminile riprendendo concetti della mitologia nordica o dell’Oriente, è diviso in 3 movimenti divisi da degli intermezzi di pianoforte, precisamente alla fine di “Bone Marrow” e “Spoils“. I virtuosismi tecnici sono incredibili e numerosissimi, con frequenti cambi di metrica, BPM, soli e voci che prima sono urlate o “growlate” e poco dopo sono acuti pulitissimi.

Cito l’inserimento, perfettamente contestualizzato, del “Volo del Calabrone” di Korsakov arrangiato per chitarra elettrica in “Palms read“. Per chi volesse approfondire di più su questo gruppo incredibile consiglio anche l’ascolto dell’album “Volition” del 2013 che non è stato inserito nella lista per evitare ripetizioni.

Close to the Edge – Yes (1972)

Si è parlato prima del Progressive Rock, e come si può parlare di Prog senza nominare Close to the Edge? Considerato il capolavoro degli Yes (e da me considerato uno dei migliori album della storia della musica, se non il migliore) conclude, dando più che onore, la trilogia classica degli Yes composta da “The Yes Album“, “Fragile” e, appunto, “Close to the Edge“.

Ascoltando i tre album si può notare come il livello compositivo e tecnico del gruppo vada crescendo passando da capolavori come “Starship Troopers“, “Roundabout” e “Heart of the Sunrise” arrivando alla title track dell’album, una suite di 18 minuti (tranquilli, se ne percepiranno 3) che spazia fra il Rock Psichedelico, il Progressive, il Funk, e passaggi di assoluta maestria con organi e tastiere.

Le liriche di Jon Anderson e la maestria di tutti i membri del gruppo (da tastierista non posso non parlare del lavoro incredibile di Rick Wakeman, innovatore nell’utilizzo del Mellotron) contribuiranno a creare atmosfere da sogno e paesaggi sconfinati di cui ci sentiremo partecipi: riusciremo a vedere le valli di infiniti mari di cui si parla in “And You and I” o a percepire il percorso di vita del giovane Siddartha da cui è inspirato il testo di Close to the Edge. E poi, come non parlare degli incredibili riff di chitarra del genio di Steve Howe. Mi posso azzardare a dire che il riff iniziale di “Siberian Khatru” è probabilmente uno dei riff più accantivanti della storia della musica.

In the Aeroplane Over the Sea – Neutral Milk Hotel (1998)

Conosciuto anche come “Quello strano album degli anni ’90 su Anna Frank” è, secondo me, uno dei lavori più ambiziosi di quella decade. Un album Alternative Rock che prende a piene mani da quella corrente, ispirato da gruppi come i Radiohead, stravolgendola completamente.

Ci troviamo quasi ad affogare in questa atmosfera malinconica che, andando avanti nell’album, decade sempre di più: si perdono i classici suoni puliti e accoglienti del classico Alternative e viene lasciato spazio a distorsioni, feedback di chitarra e strumenti e strutture non convenzionali che accompagnano liriche a volte apparentemente senza senso, a volte che parlano di vita, morte e sopratutto di Anna Frank.

L’album infatti, su ammissione dell’autore Jeff Mangum, è stato ispirato in gran parte dal Diario di Anna Frank ,che aveva letto poco prima, e ciò si può benissimo intendere da alcune canzoni come “Holland, 1945“. L’effetto che si avrà ascoltando questo capolavoro sarà quello di perdersi nei propri ricordi, in un atmosfera opprimente e distorta. Se ascoltato con l’atmosfera giusta vi assicurerà vi lascerà un senso di disagio e di angoscia.

Wave – Patrick Watson (2019)

Abbandoniamo completamente tutti i virtuosismi tecnici che ci siamo portati dietro con i precedenti 3 album e abbracciamo la semplicità. Ed è su questo che si basa il genio del cantautore canadese Patrick Watson: riuscirci a prendere e buttarci dentro un sogno con pochissimi accordi sostenuti e riverberati o grazie al suo cantato dolce e sospirato che ci faranno sentire coccolati, come il calore delle coperte in una fredda notte d’inverno.

Dopo aver ascoltato un suo album ed esservi fatti un giro attraverso tutti i vostri ricordi ed aver provato tantissime emozioni differenti (e probabilmente esservi fatti anche un pianticello ripensando ai bei tempi andanti) vi sentirete più leggeri, liberi. Perché essere un artista non significa solo essere un maestro della propria arte ma significa anche saper far provare emozioni immense utilizzando pochissimo. La cosa più sorprendente è che per quanto tecnicamente siano semplici i pezzi non sono comunque classificabili in un vero genere per via delle tantissime influenze, sopratutto dal Folk, dal Dream Pop e dal Lo-Fi.

Before the Dawn Heals Us – M83 (2005)

E finiamo così il nostro viaggio rimanendo nel mondo dei sogni con il capolavoro di M83, gruppo francese famoso per pezzi come “Midnight City” e “Outro” (entrambi dall’album “Hurry Up, We’re Dreaming” del 2011, altro ascolto consigliatissmo), una maestosa opera appartenente ai generi Dream Pop e Shoegaze. Si riesce a notare l’incredibile bravura nel gruppo nel creare paesaggi onirici attraverso l’utilizzo numeroso di feedback, tappeti di synth e voci sospirate che ci faranno cadere in una sorta di trance intervallata da pezzi più tendenti allo Shoegaze, con feedback e ritmiche più aggressive che ci risveglieranno da questa trance per poi ricaderci immediatamente nel pezzo successivo.

La sensazione sarà quella di essere costantemente addormentati e risvegliati fino alla traccia finale, “Lower Your Eyelids To Die With the Sun”, lunga 10 minuti, che si presenterà come la giusta conclusione all’opera, che ci farà sentire finalmente realizzati visto che si è raggiunta una fine, che la musica ci fa percepire perfettamente. Impossibile non citare l’universo meta-cinematografico, presente in ogni loro album, che viene creato tramite l’utilizzo di sample vocali provenienti da film o anche ad una narrazione di una storia, come nel pezzo “Car Chase Terror!“.

Questa loro caratteristica si può sentire molto nel pezzo “America“, proveniente dall’album “Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts” del 2003. Di quest’ultimo album, però, consiglio l’ascolto solo ad ascoltatori con un orecchio più allenato poiché la sperimentazione è molto alta.

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