Nel 2014 la fine di una relazione scatenò una serie di eventi che iniziò dapprima con una campagna d’odio nei confronti delle donne che lavoravano nei videogiochi, e si concluse con l’elezione di Donald Trump. Questa reazione a catena ebbe inizio con il Gamergate, l’evento che cambiò internet irreversibilmente e comportò la popolarizzazione dell’estremismo di destra e del dibattito contemporaneo sul politicamente corretto.
Quello del Gamergate è un argomento estremamente complesso e controverso, ma la sua rilevanza storica è alquanto significativa. Le sue conseguenze infatti hanno presto sconfinato anche oltre l’internet essendo state riconosciute anche da altri mass-media: non a caso, l’origine di alcune delle maggiori discussioni e dei dibattiti che imperversano oggi sul web può essere fatta risalire proprio al Gamergate.
Cos’è stato il Gamergate
Raccontare dettagliatamente la storia del Gamergate richiederebbe un intero libro a riguardo, ma la vicenda può comunque essere riassunta con alcuni eventi chiave.
Tutto iniziò nel 2014, quando Eron Gjoni pubblicò un post dove raccontava dettagliatamente la storia della sua relazione con Zoe Quinn, una sviluppatrice di videogiochi. Nel post, Gjoni accusava Quinn di averlo tradito con diversi uomini, tra cui un certo Nathan Grayson.
Caso vuole che Grayson fosse un giornalista videoludico che scriveva per il noto sito Kotaku. Questo dettaglio (apparentemente banale) sarà la scintilla che farà esplodere una delle campagne d’odio più violente e distruttive della storia di internet.
Zoe Quinn, sviluppatrice di Depression Quest
Alcuni lettori del post di Gjoni furono fin troppo rapidi a trarre una conclusione ingiustificata. La loro ipotesi più accreditata era che Zoe Quinn stesse avendo una relazione con Grayson in modo che il giornalista potesse recensire positivamente il suo videogioco, intitolato Depression Quest (ndr, peccato che Grayson avesse menzionato il gioco in un solo ed unico articolo, in modo marginale ed affiancato a decine di altri giochi). Secondo la community del gaming online, era appena stato scoperto un enorme e pericolosissimo conflitto di interessi.
Una ristretta nicchia di utenti usò questa “prova” per sostenere che tutto il mondo del giornalismo videoludico fosse corrotto e colluso con donne “femministe”, che stavano cercando di imporre la loro visione del mondo dentro ai videogiochi. Nel giro di pochi giorni, quella ristretta nicchia si allargò sempre di più, fino ad espandersi in ogni angolo di internet.
Quella che seguì fu una vera e propria campagna d’odio mascherata come un innocente movimento il cui unico scopo era quello di ottenere trasparenza nel mondo del giornalismo videoludico. Zoe Quinn iniziò a ricevere centinaia di minacce di morte e di stupro, poiché il suo numero di telefono e il suo indirizzo furono pubblicati e qualcuno riuscì perfino ad ottenere le sue password, chiudendola fuori da alcuni account social. Quinn fu costretta a cambiare casa, ma lei fu solo la prima delle vittime.
Nel giro di pochi giorni infatti, molte altre donne (ed esclusivamente donne) che lavoravano nei videogiochi furono bersaglio dei sostenitori del Gamergate, riunitisi principalmente su siti come Reddit e 4chan. Uno dei più noti casi fu quello di Anita Sarkeesian, autrice di una serie di video in cui analizzava i videogiochi sotto una lente più vicina all’ideale femminista.
Sarkeesian fu bollata come SJW (ndr, Social Justice Warrior, un termine dispregiativo usato per sminuire chi promuove politiche progressiste) e subì un trattamento forse peggiore di quello riservato a Quinn. Anche lei fu costretta a trasferirsi, e ad annullare una conferenza ad un’università, dato che qualcuno aveva minacciato di fare una strage nel caso in cui si fosse presentata.
Perfino l’FBI iniziò ad investigare seriamente sulla situazione, e così le notizie sul Gamergate uscirono dalle community di nicchia e anche i media mainstream iniziarono ad occuparsene. Giornali e telegiornali nazionali americani ne parlarono e Anita Sarkeesian fu addirittura invitata da Colbert Report, un famoso host di talk show, per essere intervistata (seppur con toni scherzosi e satirici) in merito alle minacce ricevute.
Cosa c’entra l’alt-right
Il Gamergate segnò un punto di svolta per la cultura di internet, che fino a quel momento era stata caratterizzata da movimenti tendenzialmente di sinistra libertaria, arrivando poi all’attivismo (non necessariamente focalizzato su una specifica inclinazione politica) di gruppi come Anonymous e Occupy Wall Street.
Il Gamergate fu la prima occasione in cui anche la destra conservatrice ottenne il suo spazio su internet assieme alle proprie idee antiprogressiste e (in un certo senso) antifemministe. In particolare, fu il Gamergate ad impostare per la prima volta il conflitto tra i cosiddetti SJW e l’estrema destra, ferma oppositrice del politicamente corretto.
Milo Yannopoulos, giornalista di riferimento per l’alt-right
Un anno dopo il Gamergate, nel 2015, Donald Trump annunciò la sua candidatura per la presidenza degli Stati Uniti. Grazie a quell’evento, un movimento fino ad allora relativamente sconosciuto iniziò a guadagnare sempre più popolarità, fino ad arrivare all’attenzione dei media internazionali. Si trattava dell’Alt-right, un movimento che riunisce sotto di sé ideali diversi ma con una fondamentale caratteristica in comune: l’estremismo di destra, per l’appunto.
Una delle figure di riferimento dell’Alt-right divenne Milo Yannopoulos, uno dei primissimi giornalisti ad essersi occupato del Gamergate. Il giornale su cui Yannopoulos scriveva i suoi articoli accusatori (contro Anita Sarkeesian e altri bersagli del Gamergate) era Breitbart, un sito di estrema destra fondato da Steve Bannon, nominato consigliere strategico da Donald Trump (ndr, o meglio “capo stratega della Casa Bianca” nel governo Trump).
Steve Bannon, fondatore di Breitbart e consigliere di Donald Trump
Il fatto che uno degli esponenti dell’alt-right scrivesse articoli riguardo al Gamergate sul giornale del consigliere di Trump non era un caso fortuito, ma più probabilmente un attento piano progettato accuratamente proprio da Bannon. Fu infatti lo stesso Bannon ad assumere Yannopoulos presso il proprio giornale, e le sue parole esatte a riguardo furono:
“Mi sono accorto che Milo poteva rapportarsi bene con questi ragazzi […] puoi attivare un esercito, arrivano con il Gamergate, o cose del genere, e poi restano per la politica e Trump.“
L’idea di Bannon era molto semplice: sfruttare il Gamergate per alimentare la popolarità delle idee di estrema destra e favorire la campagna di Trump.
Ovviamente, non tutti i sostenitori del Gamergate erano estremisti di destra o supporter di Trump, né necessariamente lo diventarono. Molti di loro erano semplici vittime inconsapevoli della propaganda di Bannon, ma le ferite causate dalla sua campagna d’odio si sentono ancora oggi, e richiederanno forte impegno per essere curate.