Nel 1974, Gary Gygax e Daves Arneson pubblicano la primissima edizione di Dungeons & Dragons (D&D), non sanno ancora di aver creato qualcosa che rivoluzionerà il mondo dei giochi (ndr, e non solo) negli anni a venire, non sanno che la loro invenzione è di quelle destinate a trasformarsi in un business da milioni di dollari né che da lì a poco molte persone cercheranno di imitarli.
Nel 1981, la Chaosium (noto marchio produttore di giochi di ruolo e da tavolo, tra cui Call of Cthulhu) pubblica Stormbringer, gioco di ruolo sempre a tema fantasy ma stavolta basato su di un (multi)universo narrativo creato non da un team di sviluppatori bensì progettato da un romanziere per la sua saga fantasy.
Il gioco è infatti basato sulla saga Elric di Melniboné del grande Michael Moorcock: la sua è la prima opera narrativa dove compare sia il concetto di multiverso, ripreso poi dalla Wizards per D&D e Magic The Gathering, sia l’archetipo dell’antieroe dai capelli bianchi che verrà poi ripreso da Sapkowski nella sua saga di Geralt di Rivia e da Martin per la creazione dei Targaryen, che non hanno certo bisogno di presentazioni.
Si tratta del primo gioco di ruolo basato sulla proprietà intellettuale(ndr, “stormbringer” è il nome della spada maledetta di Elric, il protagonista), sarà seguito poi da Girsa, basato sull’ambientazione del Signore degli Anelli, il già citato Call of Cthulhu fino a Star Wars e perfino Ghostbusters.
Un B-Game fatto con amore
Uno sfortunato mix di difetti è probabilmente l’unica vera ragione per il mancato successo di Stormbringer, poiché le potenzialità erano tante ma vennero gestite in maniera piuttosto approssimativa.
Principalmente, il gameplay non offriva nessuna aggiunta significativa rispetto a D&D, anzi quel poco di novità che portava risultava essere godibile solo per chi aveva già letto i libri (ndr, e la saga di Elric non è certo nota quanto quella di LOTR o di Star Wars).
Infatti, si potrebbe dire che proprio la forza dei romanzi fu (in questo senso) la debolezza del gioco, perché ciò che nei romanzi era (ed è) una stimolante innovazione, nel gioco si traduceva in particolari regole in uno strano mondo immaginario, e la stesura del manuale (scritto più per i lettori della saga che non per dei neofiti) non aiutava in questo senso.
Partiamo dunque dalla scheda: abbiamo le classiche stats (statistiche) che vanno a delineare il nostro personaggio (Forza, Costituzione, Destrezza eccetera), poi abbiamo i punti ferita, il denaro, ed una sommaria descrizione fisica: tutto piuttosto lineare fino alla voce handicap.
Qui occorre fare una precisazione: Elric, il protagonista dei romanzi, è fondamentalmente un malato cronico dipendente da dei “farmaci salva-vita“. Moorcock lo descrive infatti come un giovane albino, dal fisico slanciato ma magro e dal volto affilato, costretto ad assumere continuamente delle particolari droghe che non solo gli permettono di continuare a vivere ma addirittura di camminare e maneggiare una spada; droghe tra l’altro definite così non a caso, in quanto sovente Elric si domanda se alcune delle percezioni che sperimenta non siano semplicemente dovute alle droghe che prende piuttosto che alle sue doti di “medium“.
Il fatto che la scheda dia per scontato che il vostro personaggio abbia un handicap è presto detto: tutte le stats del vostro personaggio vengono decise dai tiri di dado e (dal momento che la sfortuna è sempre dietro l’angolo), se farete un tiro basso in Costituzione avrete un personaggio gracile, anziano oppure malato, se invece tirerete male per la Destrezza potreste avere un personaggio zoppo o incapace di camminare.
Poi abbiamo tutta una lista di talenti che il personaggio può apprendere, comprese le lingue (tra cui figura il melniboneano che si divide in Alto -una lingua segreta adoperata solo dai membri della dinastia reale- e Tardo -parlato invece da cittadini dalle origini più umili-) e ciò va già a definire molto bene il background del personaggio (perché, ad esempio, se parla e capisce il melniboneano -la lingua di Melniboné, la lingua di Elric- vuol dire che: o è un melniboneano egli stesso o è un viaggiatore di grande esperienza, perché i giorni di gloria dell’odiata Melniboné sono finiti da tempo, e l’impero che ne resta, noto per l’altezzoso razzismo nei confronti di qualunque estraneo, si è ormai auto-esiliato).
La magia secondo Stormbringer
Per definizione, un warlockviene visto come quell’individuo che ha stipulato un patto con un’entità oscura, giurandogli fedeltà e ricevendo in cambio particolari poteri magici, a differenza del mago che ha dovuto studiare per impararli e dello stregone che conserva tali poteri sin dalla nascita o a seguito di un particolare evento.
Al contrario, in Stormbringer tutti gli incantatori sono concettualmente classificabili come warlock o, meglio ancora, come evocatori.
L’ambientazione di Stormbringer prende forma in un multiverso permeato dall’eterna lotta fra yin e yang, che Moorcock definisce come Legge e Caos:
ciò che è Legge è ordinato, riproducibile e costante;
ciò che invece è Caos è mutevole ed imprevedibile, tali ancestrali principi sono protetti da divinità chiamate Signori, i quali agiscono nell’interesse del principio a cui appartengono. Per questa ragione, i Signori del Caos sono gli unici che elargiscono magia (che è espressione pura di mutevolezza) a chi la domanda.
Gli esseri umani per loro stessa natura non sono in grado di produrre magia ma certi individui (tradotti in game come personaggi con un alto valore in Mana e Intelligenza) possono evocare delle entità a cui domandare dei favori o addirittura imprigionare dentro degli involucri.
Ad esempio: per sbarazzarsi di una banda di predoni è possibile evocare un elementale della terra che mandi una tempesta di sabbia per poter far perdere le nostre tracce o che apra una voragine per seppellirli vivi. Per creare invece una spada di fuoco sarà necessario un efreet (ndr, elementale del fuoco) da rinchiudere dentro la lama.
Per questo, tutti gli incantatori (che nel manuale sono definiti “stregoni“) possiedono l’abilità Evocare, con cui si chiede all’entità in questione di manifestarsi; la tipologia di entità che si desidera richiamare al proprio cospetto (elementale, demone, divinità eccetera) si configura come un valore uguale al numero di tentativi che l’evocatore potrebbe effettuare prima di riuscire nel suo intento, con un malus (penalità) di -1 ad una caratteristica a caso per ogni evocazione fallita (viene stabilito con un tiro di dado d8).
Il rituale di evocazione è reso in modo davvero fedele a come l’ha immaginato Moorcock, ovvero un processo lungo, faticoso e soprattutto pericoloso (ndr, da giocatore credo che un caster così noioso non si vedesse dai tempi della 2° edizione). Questo è proprio un GDR old school, in cui i maghi sono nelle retrovie, con pochissimi punti vita e notevoli difficoltà per castare correttamente un incantesimo.
Proprio come in D&D, allo stregone occorre un libro chiamato grimorio, sul quale annota tutti i dettagli e le procedure per le evocazioni che ha imparato (se poi dovesse entrare in possesso di altri grimori, potrebbe imparare ad evocare nuove tipologie di demoni, e così via).
Evocare, Potenziare, Vincolare… un sacco di “are”
In Stormbringer, come accennato prima, un’entità può anche essere vincolata, ovvero imprigionata dentro un oggetto (un’ arma, un elmo eccetera): ad esempio, evocando un efreet, è possibile chiedergli di scagliare delle palle di fuoco su dei nemici, ma una volta completata la richiesta, l’entità tornerà immediatamente nel suo mondo.
Scegliendo invece di vincolare quell’efreet dentro la spada del giocatore, si ottiene una spada intrisa del potere del fuoco.
Chiaramente ci sono delle restrizioni in merito: nella fattispecie, è possibile richiamare l’elementare vincolato solo 4 volte in un’ora poiché, se si tenta di richiamarlo una quinta volta, esso si libererà definitivamente.
Nulla vi vieta di vincolare un demone dentro un’armatura o una spada e donare quest’oggetto ad un altro demone che desiderate vincolare unicamente purché combatta al vostro fianco; non sarà un procedimento corto né privo di fallimenti, ma riuscendoci, avrete al vostro servizio due demoni al prezzo di uno (citando testualmente: “un demone non può controllarne un altro“).
Inoltre, vincolando un demone, si accresce la propria riserva di Mana.
Stormbringer e gli dei
Così come si può evocare un demone, un elementale o un qualunque altro abitante di qualche sperduto piano dell’esistenza, è possibile evocare perfino un dio. Ora la domanda che sorge spontanea è: perché mai un dio dovrebbe rispondere?
Per due motivi: forza vitale e servigi. In realtà basterebbe la prima, poiché, per una divinità, la forza vitale o anima che dir si voglia è il nutrimento di cui alcune di loro hanno bisogno per sopravvivere.
In secondo luogo però, in cambio di un favore, si può barattare la propria anima o quella di un altro personaggio o ancora mettersi al servizio della divinità in questione per assicurarle altra forza vitale e/o per estendere i suoi domini (ndr, senza che si scomodi ogni volta a manifestarsi di persona).
Per questo offrire i propri servigi non è saggio ma anche gradito.
In conclusione
In sostanza, Stormbringer non è certo il gioco di ruolo migliore del mondo, tutt’altro, ma è innegabile che sia un titolo imperdibile per chiunque abbia letto la saga di Elric (ndr, che vi consiglio di leggere, a prescindere dal fatto che siate dei giocatori di ruolo oppure no) e che possieda alcune caratteristiche molto interessanti che sarebbero una valida aggiunta per le vostre campagne homemade.
[Ndr, un ringraziamento speciale a Duncan McFarrel per avermi fatto conoscere sia la saga che il gioco].