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Lost Media: il fascino delle opere perdute

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Lost Media: i contenuti dimenticati dalla storia.

Nelle civiltà umane la necessità di comunicare e preservare informazioni, sia amministrative che artistiche, ha portato alla creazione del mezzo tecnologico denominato con il termine medium, che non ha solo il significato più conosciuto di “mezzo di comunicazione“, ma anche quello di strumento di archiviazione di dati.

Attraverso l’evoluzione dei mezzi di capacità produttiva, il numero dei contenuti è aumentato a vista d’occhio dal ventesimo secolo fino ad oggi, con paesi economicamente sviluppati, in grado di poter investire uno spazio rilevante nei settori dell’informazione e dell’intrattenimento, sia locale che internazionale.

Uno degli esempi più famosi legati alle catene di distribuzione a noleggio è Blockbuster (1985-2013), in particolare conosciuta per l’ambito video ma anche per la diversità di prodotti presenti nei propri store.

Queste produzioni, che circolavano nelle edicole, negozi di prodotti musicali, in quelli videoludici o nel noleggio video, potevano godere di un grande successo o di un epocale fallimento in termini di vendite e critica.

Molti articoli, a causa di decisioni aziendali o della mancanza di politiche di archiviazione nelle stazioni radio, televisive o di servizi online, ebbero una distribuzione limitata o addirittura nulla, non lasciando tracce di sé nei cataloghi e nel caso di perdita della copia originale, neppure nella storia.

Interesse trovato per il perduto

La categoria di questi casi, documentati ampiamente dal mondo accademico, è nota nelle comunità anglofone con il termine di “Lost Media” (lett. media perduto), coniato nel 2012 dall’australiano Daniel, conosciuto come “dycaite”, che agglomera tutte le tipologie di media, sia tradizionali che contemporanei.

La creazione del termine coincise anche con l’apertura del sito, nello stesso anno, chiamato “The Lost Media Archive”, una wiki specializzata nel raccogliere, tracciare i casi di prodotti scomparsi e segnalare il loro possibile ritrovamento grazie alla collaborazione degli utenti del web.

Lost Media Archive è stato il primo archivio ufficiale a venire creato a favore della conservazione dei mediaperduti“. Nonostante i numeri esigui, la community attiva continua volontariamente a portare avanti il proprio compito di archeologia digitale.

L’ispirazione per la creazione del sito nacque con l’esigenza di creare un centro comunitario per organizzare la ricerca avviata su Reddit del film horror televisivo “Cry Baby Lane”, trasmesso una sola volta il 28 Ottobre 2000 sul canale per ragazzi Nickelodeon, scomparso poi dalle frequenze a causa dello scarso indice di ascolto.

Successivamente, il sito cominciò a spostarsi dalla piattaforma wiki verso un server apposito tra il 2014 e il 2015, trasformandosi in un archivio. Sotto il nome di “Lost Media Wiki” e rappresentato dalla mascotte LMW-tan, il database ospita gli utenti della comunità che continuano ancora oggi ad investigare e ritrovare opere andate perse negli anni, sostenendosi autonomamente oppure con donazioni da parte di privati.

Pagina principale di Lost Media Wiki con la mascotte LMW-tan, una ragazza stilizzata in maniera anime le cui origini sono coerenti con la piattaforma di cui fa da mascotte: il suo design è stato inspirato da un personaggio presente in un vecchio corto perduto all’interno della serie “Sesame Street“.

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Il sito divide i casi di “lost media” in due macro-sezioni:

    1. Per tipologia di medium: i prodotti musicali, letterari, filmici e videoludici sono trattati allo stesso modo dei prodotti di internet, televisivi, giornalistici, pubblicitari, marionettistici e animati.
    2. Per stato di presenza: casi dati o meno come persi, alcuni dei quali ritrovati (completi o parziali), originali o falsi. Sono presenti anche casi di contenuti NSFW (not safe for work, ovvero contenuti sensibili a contesti formali) e NSFL (not safe for life, ovvero contenuti sensibili per la propria salute mentale).

Tuttavia, gli sforzi compiuti da parte di ogni utente vanno oltre la wiki e i subreddit dei lost media anche grazie a personalità di internet come Whang!LSuperSonicQ, che generano interesse attraverso i loro video e attirano altri utenti in queste ricerche.

Molte finiscono per concludersi con l’effettivo ritrovamento dell’opera perduta, come ad esempio l’episodio pilota della versione americana di Sailor Moon, prodotta da Saban nel 1994 e mostrata all’Anime Expo nel 1998 prima di far perdere nuovamente le sue tracce (ndr: non si sa se per la vergogna o per evitare le ire della Takeuchi).

Al contrario, alcune opere non vengono ritrovate per il semplice fatto che non sono mai esistite in principio, essendo segnalazioni di falsi montate ad hoc, come ad esempio il tanto dibattuto cortometraggio animato horror Go for a Punch (Saki Sanobashi/さきさのばし).

Meglio ritrovarli che perderli.

Le motivazioni che spingono i singoli utenti a riunirsi attorno a comunità online e spendere il proprio tempo e denaro per tentare di ritrovare i lost media sono diverse. Una delle più condivise è l’effetto della nostalgia, collegata alla propria infanzia ma non solo, poiché si tenta di rivivere il passato attraverso il ritrovamento dei contenuti mediatici e dell’oggettistica che ricorda quel periodo.

A discapito della natura spesso personale delle ricerche, queste attività si sono rivelate un importante contributo per la ricostruzione della storia dei media, un campo di studio recente e che stenta a decollare, in quanto ancora considerato un argomento minore per i canoni accademici, che definiscono le materie non degne dell’investimento alla ricerca e al ripristino.

Le biblioteche come questa rappresentano una metafora perfetta di fronte al problema della conservazione: luoghi, digitali e non, dove sarebbe possibile trovare oggetti rari e nascosti (o proibiti), ma che senza i dovuti approcci di cura e recupero verranno potenzialmente persi per sempre.

Infine, considerando la natura sfuggente e poco lungimirante della rete e del digitale, gli sforzi e le iniziative dovrebbero diventare più organizzati e maggiormente finanziati, in modo da poter efficacemente conservare e tramandare storie e opere ai posteri.

Ma dopo tutto, si sa: una volta caricato su internet, un contenuto non sparirà (forse) mai più.

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Davide Costa

Quando non scrivo di vicende e di produzioni del mondo digitale, dedico il mio tempo a tradurre cose, leggere libri o a giocare ai videogiochi (mai tutto in una volta).

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