Nel 2009, la software house Atomic Games annunciò di voler usare la battaglia di Fallujah, una delle più brutali della guerra d’Iraq, come ambientazione per un suo gioco, ma la risposta del pubblico fu talmente negativa da convincere Konami a ritirare la sua offerta di pubblicarlo.
Rimasta senza un publisher, Atomic Games fu costretta ad abbandonare il progetto, e Six Days in Fallujah non venne più pubblicato.
Ma il 2 Febbraio 2021, più di un decennio dopo l’annuncio originale, Six Days in Fallujah è ricomparso in un nuovo trailer.
Cos’è stata la battaglia di Fallujah
Dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, l’Iraq fu accusato dagli Stati Uniti di supportare segretamente gruppi terroristici come Al Qaeda. Per di più (secondo l’amministrazione Bush), Saddam Hussein, dittatore del paese, sarebbe stato in possesso di armi di distruzione di massa, in particolare, armi chimiche.
Soldato americano copre la statua di Saddam Hussein con una bandiera statunitense.
Nel marzo del 2003 l’esercito americano iniziò l’invasione dell’Iraq e in meno di un mese arrivò a Baghdad, capitale del paese.
Saddam fu catturato e condannato a morte, ma le sue armi chimiche non furono mai trovate ed il governo stabilito dagli americani crollò quasi immediatamente una volta finita l’occupazione. Il paese cadde in una guerra civile, con il debole e disorganizzato esercito iracheno da una parte, e un sempre più crescente movimento di ribelli fondamentalisti dall’altra, che negli anni successivi si trasformò nell’ISIS.
La più grande e letale battaglia combattuta in Iraq nel corso di tutta la guerra non avvenne durante l’invasione del paese, ma nell’anno successivo, durante l’occupazione, dando il via all’operazione nota come Phantom Fury.
Soldati americani per le strade di Fallujah durante l’operazione Phantom Fury.
Phantom Fury aveva come obiettivo la riconquista della città di Fallujah, che era nel frattempo diventata una roccaforte dei ribelli iracheni. La città fu liberata dopo più di un mese di intensi combattimenti urbani, con centinaia di vittime tra i soldati americani e civili.
La battaglia di Fallujah fu la più controversa delle azioni belliche racchiusa una guerra che era già controversa di per sé: per spezzare la strenua resistenza dei ribelli infatti, l’esercito americano usò perfino il fosforo bianco, una terribile arma chimica proibita dalle leggi internazionali.
Perché Six Days in Fallujah non fu mai prodotto
Atomic Games annunciò lo sviluppo di Six Days in Fallujah nel 2009, mentre l’occupazione americana dell’Iraq era ancora in atto. Il giocatore avrebbe interpretato un marine dispiegato a Fallujah durante la battaglia.
Dai pochi video di gameplay esistenti, il gioco sembrava essere un normale shooter, ma gli sviluppatori vollero rimarcare le differenza con altri giochi dello stesso genere, descrivendolo più come un survival horror a metà tra un gioco e un documentario.
Frame di Six Days in Fallujah
Non si sarebbe infatti trattato di un semplice clone di Call of Duty (dove al giocatore non è chiesto altro oltre all’uccidere quanti più nemici possibile): Six Days in Fallujah avrebbe offerto al giocatore un’esperienza quanto più vicina possibile a quella reale, ponendolo in condizioni dalla dubbia moralità e chiedendogli di prendere scelte difficili.
Il gioco avrebbe infatti trattato temi come la presenza dei civili nella zona di guerra e l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito americano.
Six Days in Fallujah vedeva perfino il coinvolgimento di un gruppo di marines che aveva realmente combattuto a Fallujah, e permettere così che un videogioco potesse essere il mezzo migliore per trasmettere parzialmente l’esperienza di una delle battaglie più terribili della storia americana. Eppure, il coinvolgimento dei diretti interessati nello sviluppo del gioco non lo rese esente da critiche.
Alcuni dei familiari dei soldati caduti nella battaglia si dissero contrari allo sviluppo di un gioco che avrebbe banalizzato il sacrificio dei loro parenti. A detta loro, la battaglia di Fallujah era un argomento troppo serio, tragico, e recente per essere rappresentato in un videogioco.
Le critiche spinsero Konami a ritirarsi come publisher, lasciando gli sviluppatori di Six Days in Fallujah senza i finanziamenti necessari per completare il gioco.
Six Days in Falluja: in uscita entro il 2021
Eppure, dopo la cancellazione di Six Days in Fallujah, uscì nel 2012 il titolo Spec Ops: The Line, un gioco che tratta (ndr, criticandolo aspramente) il setting militare-realistico-mediorientale, iniziato con Call of Duty 4.
Questo sparatutto in terza persona creato da Yager Development e pubblicato dalla 2K Games infatti, volle porsi come un’esperienza videoludica che permettesse al giocatore di “rivivere” (seppur virtualmente) il dramma del conflitto negli Emirati Arabi, non solo dal punto di vista meramente bellico e strategico (ndr, anche se la vicenda narrata è totalmente inventata).
The Line fu la dimostrazione che temi seri e delicati come la guerra moderna, le vittime civili, e l’uso di armi chimiche, possono essere affrontati con rispetto ed intelligenza, e senza alcun fine propagandistico.
Ed è su questa stessa linea di pensiero che si pone anche Six Days in Falluja, trovando (finalmente) posto nel mercato videoludico, dopo oltre dieci anni.
La sua pubblicazione (prevista per fine 2021) è stata possibile grazie alla collaborazione di Victure (publisher creato proprio dal CEO dello sviluppatore originale Atomic Games), e Highwire Games (piccolo studio formato da sviluppatori “veterani” che si occuperà dello sviluppo).