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ASCII Art: storia del disegno in forma digitale

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ASCII Art: immagini a caratteri monospazio nate tra due millenni.

Dalle semplici emoticon alle kaomoji, dall’immagine di un gattino a migliaia di file di testo in sequenza: il mondo dell’ASCII Art è pieno di sorprese, così come la sua storia.

Cos’è l’ASCII Art?

L’ASCII Art è una tecnica di disegno digitale il cui elemento fondante è il singolo carattere rappresentabile al computer, in font rigorosamente monospazio, che perde di significato logico e fonetico e diventa semplice segno grafico al servizio dell’espressione artistica.

Diversi esempi di emoticon, una delle forme più semplici di ASCII Art.

Il suo nome deriva dalla codifica ASCII (sigla di American Standard Code for Information Interchange, let. Codice Americano Standard per Scambio di Informazioni), che associa un numero a un determinato carattere appartenente a una tabella.

Dopo anni passati a codificare e decodificare schede perforate e, successivamente, a comunicare all’hardware istruzioni basilari tramite pochissimi pulsanti, in ambito informatico comincia a farsi sentire la necessità di visualizzare ciò che avviene di importante all’interno del calcolatore.

Così il codice ASCII, rilasciato ufficialmente nel 1963, pone una delle fondamenta del concetto di sistema di elaborazione moderno, dotato di uno schermo su cui visualizzare caratteri e di una tastiera attraverso cui inserirli.

Neko Arc, personaggio delle serie “Fate e Tsukihime” rappresentata in ASCII Art, fortunata di poter interagire con uno schermo e una tastiera.

La prima versione dell’ASCII comprende 128 caratteri, di cui 95 rappresentabili, codificati su 7 bit. Successivamente, agli inizi degli anni ’90, si comincia a parlare di Extended ASCII, riferendosi a codifiche comprensive di più caratteri, come UTF-8 (Unicode Transformation Format, let. Format di Trasformazione a Codice Univoco) ad 8 bit, che con un bit in più rispetto all’ASCII standard fornisce 128 caratteri aggiuntivi.

La prima tabella ASCII, ad ogni numero corrisponde un carattere: semplice no?

Per “ASCII Art” si intendeva inizialmente l’arte creata solo con i 95 caratteri dell’ASCII standard ma, nel corso del tempo, ha assunto una connotazione più generale, andando a comprendere ulteriori caratteri: dai 256 della già citata UTF-8 ai quasi 150mila dell’attuale UTF-32 (32bit).

Nascita e diffusione dell’ASCII Art

Il BBS, Bulletin Board System, fu uno dei primi sistemi informatici a consentire ai computer messaggistica e file sharing (condivisione file), praticamente il “nonno” di MSN (MicroSoft Network), ma per via telematica.

In questi sistemi, verso la fine degli anni ’70, diventavano sempre più frequenti home page con loghi formati da trattini, punteggiatura o block characters, così come anche decorazioni e disegni di dimensioni più ridotte tra le varie pagine.

È proprio questo il contesto della diffusione dell’ASCII Art, sia come espressione artistica sia come nascente fenomeno culturale che avrebbe unito gruppi di persone negli anni a venire.

Home page di un BBS.

Facendo un passo indietro a prima della sua diffusione, viene d’obbligo citare uno dei pionieri della computer grafica: Ken Knowlton. Il suo progetto di ricerca presso i Bell Labs, portato avanti nel 1966 insieme al neurologo Leon Harmon, chiamato “Studies in Perception I“, contiene i primissimi esempi di ASCII Art, quali “Telephone” e “Computer Nude“.

Ken Knowlton e Leon Harmon all’esposizione di “Computer Nude“, 1966.

Lo scopo di “Studies in Perception I” era quello di dimostrare la capacità del cervello umano di interpretare insiemi e composizioni di simboli astratti (percezione), rappresentati digitalmente, come figure realmente riconoscibili.

Un’intuizione brillante, mossa soprattutto dal sentimento di fiducia nei confronti dell’evoluzione tecnologica tipico di quel periodo e supportata per la prima volta da un approccio scientifico.

Che dire, questo studio sicuramente ha colto nel segno e ha raggiunto il suo fine, ma le radici dell’ASCII Art sono più profonde e, inaspettatamente, non hanno a che fare con pixel e schermi digitali.

Gli antenati analogici dell’ASCII Art

Il pensiero alla base dell’ASCII Art è semplice: ogni carattere può essere usato come elemento per comporre un’immagine. Per applicare questo ragionamento, quindi, non è necessario che il supporto di rappresentazione sia digitale.

Infatti ci avevano già pensato alla fine del 1800: i “Typewriter Artist” si armarono dei caratteri battuti sulle macchine da scrivere per esprimere il loro messaggio artistico, diffuso soprattutto in ambiti letterari e storiografici.

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Fenomeno più “di massa” invece è quello della Teletype Art: negli anni ’20 i possessori più creativi delle prime telescriventi cominciarono a comporre immagini con i caratteri allo scopo di inviarle, appunto, per via telematica. Ciò accadeva soprattutto durante le vacanze di natale, per scambiarsi simpatici messaggi d’auguri.

Un esempio di Teletype Art natalizia: Oh oh oh!

Risulta quindi evidente che la parte giocosa e quella più artisticamente impegnata di questa tecnica di disegno abbiano composto due facce della stessa medaglia, fin dagli inizi. Chissà se la nicchia dei Typewriter Artist, alla fine del XIX secolo, avrebbe mai immaginato che l’uso di un concetto tanto semplice ed efficace si sarebbe diffuso a livello globale durante i due secoli successivi e avrebbe generato una moltitudine di stili e filoni artistici diversi.

Evoluzione dell’ASCII Art e stili

Nel corso degli anni l’ASCII Art si è evoluta, definendo dei veri e propri stili di complessità crescente. Dalle iniziali emoticon “:D” e faccine tondeggianti su una riga, alcune delle quali denominate “Kirby” “\(^o^)/”, si è passati a figure su più righe sempre più articolate.

Le tecniche sono svariate e fanno uso di categorie di caratteri diversi: per esempio, la “line art” usa trattini, slash e spazi per definire contorni; la “solid art” usa caratteri che riempiono più spazio (come lettere maiuscole o “@”, ndr) per riempire le forme; la “block art“, invece, fa uso dei caratteri a blocchi (block characters) quali “░” o█” per ricreare un effetto di pixel art.

Sicuramente l’introduzione nella codifica Unicode dei caratteri giapponesi ha dato un grande contributo all’ASCII Art: basti pensare a shrug¯\_(ツ)_/¯”, alle varie kaomoji ‎‎ㅤㅤ“(´。• ω •。`)” (le mie preferite, ndr) o a quel mattacchione di pedobear  “ヽ( ・(ェ)・ )ノ” .

Grande varietà di argomenti

Insomma, con le varie tecniche e una buona dose di fantasia è possibile qualsiasi tipo di opera d’arte: se pensate a qualcosa è molto probabile che qualcuno l’abbia già realizzata in ASCII Art, già pronta per essere copia-incollata.

Serve un ritratto dell’amato Doge? Servito. Pepe the Frog? Immancabile. La grande onda di Kanagawa o la Gioconda? Ce n’è per tutti i gusti.

A sinistra il Doge in Block Art, a destra la Monna Lisa in Solid Art a colori (ndr: in queste vesti, vederli l’uno accanto all’altra non sembra poi così innaturale).

E non ci si risparmia di certo in termini di argomenti, tra ahegao ed hentai esplicito l’unico freno per l’immaginazione è il carattere monospazio; e se queste espressioni possono sembrare improbabili, basti ricordare cos’era possibile trovare in determinate pagine osé del televideo.

I pixel che componevano quelle donnine seminude sono block characters e anche quella è quindi, per definizione, ASCII Art.

Un’arte in declino?

Sicuramente i “giorni di gloria” dell’ASCII Art sono passati. I caratteri con font monospazio non sono più di uso comune se non in determinati ambiti e il monopolio delle emoji è indiscutibile, ma l’ASCII Art è tutt’altro che in declino.

Tutto ciò che rappresenta è anzi una gioiosa e significativa parentesi dell’amata cultura di internet e, a modo suo, continua a vivere; proprio come “Bad Apple!!” e le sue reinterpretazioni.

Ognuno delle migliaia di fotogrammi del celebre “MAD” animato dedicato al Touhou Project continua, ormai da più di un decennio, ad essere rielaborato in ASCII Art, manualmente o con convertitori, e permette di ammirare ancora una volta le animazioni da un terminale o, perché no, da un semplice blocco note.

 

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Simone Tumminelli

Amante della musica in tempi dispari e appassionato di internet, videogiochi, manga e immagini a bassa risoluzione. Di giorno studente universitario e di notte porto avanti il progetto Pixelpostaggio. Don't you dare go hollow!

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