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Ghost Stories: quando tradurre significa tradire

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La strana storia di uno strano doppiaggio.

Sicuramente il nome “Ghost Stories” potrebbe apparire poco familiare ad un pubblico italiano, eppure la sua storia è interessantissima e degna di menzione. Un anime mai arrivato in Italia, che ha vissuto il picco del suo successo solo anni dopo l’uscita, tra l’altro al di fuori della madrepatria.

Il motivo? Di certo, molto singolare.

Gli anni Novanta hanno rappresentato un periodo d’oro per l’animazione nipponica, verso cui molti giovani della Generazione Z hanno poi sviluppato un attaccamento teneramente nostalgico anche grazie a quei show televisivi giapponesi che venivano passati su canali come “MTV”.

Screen da una pubblicità di MTV Italia nei primi anni 2000 riguardo l’Anime Week.

Generalmente vengono ricordati gli anime più famosi, come ad esempio l’introspettivo “Neon Genesis Evangelion”, l’inimitabile “Cowboy Bebop” o il sorprendente “Trigun”, tutti ormai veri e propri cult della cultura pop giovanile occidentale.

Tutti questi anime avevano in comune delle produzioni innovative, con notevoli investimenti che portavano il palinsesto ad arricchirsi di prodotti originali, tutti con l’obiettivo di ottenere un largo successo tra il pubblico. Alcuni ci sono riusciti brillantemente (ndr, prima, durante e anche anni dopo la loro uscita), altri invece sono stati completamente dimenticati.

I protagonisti della serie animata Ghost Stories.

Col passare del tempo però, un po’ come del buon vino, gli anime caduti apparentemente nell’oblio del dimenticatoio hanno invece sviluppato un certo “sapore” più pungente ed interessante, proprio come Ghost Stories.

Ghost Stories: tra investimenti e rischi

Nel 2000 lo Studio Pierrot (già ben noto all’epoca per produzioni dal calibro di “Yu degli Spettri” o “GTO”), decise di iniziare a produrre una serie per Fuji Television, basata su una raccolta di storie horror e paranormali di largo successo, dal titolo di Fantasmi a Scuola.

Questa collana di libri era stata scritta da un professore appassionato di storie di fantasmi, tale Tōru Tsunemitsu: alcuni di questi racconti addirittura gli erano stati riferiti dai suoi stessi studenti.

Tali scritti avevano già destato grande interesse per la creazione di prodotti multimediali, tanto da ispirare anche una mini serie live-action e una trilogia di film ben prima della sua controparte animata ma dopo di essa anche una serie di videogiochi.

Un immagine dal primo film live-action “School Ghost Stories” ritraente uno spirito yokai dietro ad uno dei protagonisti (1995).

Le aspettative erano decisamente alte: non solo c’era il coinvolgimento di uno studio di qualità, ma anche il reparto creativo aveva dei nomi di tutto rispetto come il regista Noriyuki Abe (regista di grande esperienza, con alle spalle lavori come “Yu degli Spettri”) e un cast di doppiatori ben conosciuti in Giappone, come Ryusei Nakao (iconica voce originale di Freezer da “Dragon Ball”).

A sinistra il logo dello Studio Pierrot Co., a destra una foto del famoso regista Noriyuki Abe (2019).

Anche le animazioni in Ghost Stories non erano da meno in quanto a qualità, tanto che ancora oggi sembrano resistere orgogliosamente al passare del tempo.

Nonostante queste buone premesse, la serie purtroppo ricevette un’accoglienza gelida da parte del pubblico, in quanto ritenuta troppo noiosa. A quanto pare, Ghost Stories presentava una forte ripetitività nella struttura dei 20 episodi di cui era composta, risultando così stucchevole e poco intrigante.

Dato lo scarso successo, l’anime fu presto dimenticato e classificato come un prodotto fallito da parte dello studio.

L’inaspettata ribalta cinque anni dopo

Nel 2005 l’industria dell’intrattenimento nordamericana era completamente satura di domanda per le animazioni giapponesi, a prescindere dal loro successo ottenuto in Giappone.

ADV Films, ovvero la più grande società di distribuzione di anime nel Regno Unito e negli USA, ottenne così i diritti di Ghost Stories e ne affidò l’adattamento a Steven Foster, direttore di doppiaggio conosciuto ampiamente per imprimere una “particolare impronta” nei suoi lavori.

Le direttive da parte dei produttori giapponesi furono minime, sia al fine di lasciare più libertà creativa agli adattatori stranieri sia nello sperare di ottenere almeno un minimo successo estero da parte di serie che in patria nipponica avevano ormai perso ogni possibilità di rivalsa.

Screen della biografia presente sul sito di Ste7en Foster (al momento non accessibile) riguardo la sua carriera.

Foster prese la palla al balzo e decise di fare ciò che nessun dialoghista (ndr, sano di mente) dovrebbe fare, ovvero stravolgere completamente i dialoghi, modificando profondamente le caratteristiche salienti dei personaggi e consegnando al pubblico americano un prodotto totalmente diverso da quello originale.

Le atmosfere da horror per ragazzi di Ghost Stories lasciarono spazio ad una commedia dark humor degna del miglior palinsesto di Adult Swim: i personaggi furono infatti resi scurrili, razzisti, folli e spesso intenti perfino a rompere la quarta parete.

Ma non fu solo l’adattatore a concedersi molta libertà, infatti venne dato il via libera anche alla sua squadra di doppiatori, i quali sfogarono la propria creatività il più delle volte anche improvvisando.

Un frame originale da uno degli episodi di Ghost Stories, il cui testo è realmente presente anche nelle sue versioni homevideo.

Stando infatti a Steven Foster, come dichiarato in una intervista fatta dalla youtuber Red Bard riguardo la serie (ndr, il cui video a riguardo rappresenta una fonte essenziale per riepilogare questa storia):

“Chiunque abbia lavorato a quello show ne è rimasto contento. È stata una strana avventura perché una volta finito, tutti quanti pensammo “Bene, tutto ciò non accadrà mai più”. 

Grazie a questo liberissimo riadattamento, Ghost Stories visse una vera e propria nuova giovinezza, trovando nel pubblico anglofono un ottimo riscontro per la sua improvvisa veste comica, verificabile tutt’ora attraverso una breve ricerca su YouTube.

Qualcuno potrebbe dire che l’arte non è altro che la reinterpretazione continua di opere e costrutti precedenti, e se questo è vero, allora è altrettanto corretto dire che Ghost Stories ne rappresenta un esempio lampante.

 

 

< Articolo riscritto ma originariamente pubblicato da Donato Ursitti >

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Leonardo Paccoj

Collezionista, appassionato di videogiochi, internet, meme, tecnologia e molto altro. Non lascio da parte l'attività fisica e mi tengo in forma. Ancora studente ma a quanto pare adesso anche Capo-redattore. Io non l'avrei mai immaginato... e tu?

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