We Can’t Breathe.
Il Blackout Tuesday è la protesta pacifica che sta proseguendo in queste ore sui social: nessuna parola, nessuna figura, ma esclusivamente una foto nera seguito dall’hashtag #blackouttuesday.
A seguito infatti della tragica morte di George Floyd, in America sono tutt’ora in corso scontri e proteste da parte di numerosi appartenenti al movimento del Black Lives Matter. Sul web così è partita una vera e propria campagna di supporto non solo contro la violenza ingiustificata delle forze dell’ordine nei confronti dei cittadini afroamericani, ma contro il razzismo in generale.
L’origine del Blackout Tuesday
Tutto in realtà ha avuto origine da Jamila Thomas (dirigente della casa discografica Atlantic Records), e dalla sua ex collega Brianna Agyemang, che avevano annunciato venerdì scorso un vero e proprio sciopero della musica in segno di protesta.
In realtà l’idea originale si fondava sull’hashtag #TheShowMustBePaused, cioè “Lo spettacolo deve fermarsi” (in netto contrasto con l’iconico “Show must go on“), proprio per evidenziare la fondamentale importanza della cultura afroamericana nell’industria musicale. Citando le parole delle due:
“Un giorno per disconnettersi dal lavoro e riconnettersi con la nostra comunità. […] Un passo urgente di azione per provocare responsabilità e cambiamento”.
Leggendo infatti con attenzione dal sito ufficiale dell’iniziativa, non si tratta solo di uno sciopero di 24 ore, bensì un modo per prendersi un minuto, per rendersi conto di cosa sta accadendo in queste ore negli Stati Uniti e per poter (eventualmente) supportare il movimento attivista.
La proposta è stata così accolta da altre etichette musicali come: Sony/ATV, Sony Music, Capitol, MBW, Atlantic Recors, BMG, Universal Music Group, Kobalt, Hipgnosis Songs Fund, ASCAP, Milk & Honey, Grand Hustle Records, Downtown, SESAC, Boomplay, Concord, Symphonic Distribution, Capitol Music Group, Columbia Records, Def Jam, Elektra Music Group, HitCo, Interscope Geffen A&M, Island Records, Pulse Music Group, Reservoir, Republic Records, Virgin EMI e Warner Records. E queste sono soltanto alcune.
La dicitura “Blackout Tuesday” è da ricondursi infatti anche ai vari post di partecipazione rilasciati dalle stesse.
C’è chi ha invece voluto interpretare quella pausa nel senso più letterale del termine.
Ad esempio Spotify ha deciso di intervallare varie playlist con un lungo silenzio di esattamente… 8 minuti e 46 secondi, ovvero l’esatto periodo di tempo in cui il collo di George Floyd è stato schiacciato dal ginocchio dell’agente di polizia. O in alternativa, c’è chi ha deciso di sospendere qualunque post o contenuto sui social per l’intera giornata di oggi, lasciando esclusivamente un’immagine nera con la frase “Blackout Tuesday“.
Ed è probabilmente questa l’interpretazione adottata da chi ha declinato questo silenzio come vero e proprio blackout dettato dallo sconvolgente momento, e non solo per mero (e becero) rimando all’etnia delle vittime coinvolte.