Cinema

Midnight Diner: Tokyo Stories, analisi della serie Netflix

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Una serie ispirata ad un manga.

Tratto dal manga pluripremiato “La Taverna di Mezzanotte”, Midnight Diner: Tokyo stories è un dorama distribuito da Netflix in tutto il mondo, che ha riscontrato un largo successo tra il pubblico della nota piattaforma di streaming online.

Composto da diciannove episodi divisi per due stagioni, ogni puntata è dedicata alla storia di uno dei numerosi clienti che affollano un’atipica taverna gestita da un individuo di indole placida e con il viso deturpato, ma comprensivo e dal cuore tenero.

La serie non ha una vera e propria trama orizzontale che faccia da ponte tra le storie raccontate nel corso delle puntate. L’unico elemento di continuità è dato proprio dall’ambientazione e da pochi clienti abituali che si ripresentano più volte nel corso della visione, quasi a completare l’arredamento di quello che è un tipico diner di Tokyo, ma con la particolarità di essere aperto da mezzanotte alle sette.

Gli angusti spazi di questo accogliente luogo di ritrovo sono amplificati dalle inquadrature quasi sempre larghe della cinepresa, ma con frequenti primi piani rivolti agli inquilini del Midnight Diner (la Taverna di Mezzanotte nell’edizione italiana). La regia gioca con il contrasto tra le portate minuscole, servite ad un salaryman tokiota di ritorno da lavoro, e i ristretti spazi in cui si svolge tutta la narrazione.

Non a caso, una delle ambientazioni più utilizzate dal regista Joji Matsuoka è il vicolo stretto e buio sul quale si affaccia il nostro diner. Le altre ambientazioni sono quasi tutte al chiuso e contribuiscono all’atmosfera di intimità che pervade tutta la produzione.

Convivialità e quotidianità

Tra un pasto e l’altro, i nostri protagonisti vivranno le loro peripezie che spesso avranno come tema fondante alcune delle problematiche più comuni nella società giapponese: come un nipote disoccupato e insofferente o un marito infedele.

Quale scelta migliore di questa per raccontare l’intimità dei personaggi? Questi infatti troveranno nell’ambiente caloroso del Midnight Diner un luogo nel quale parlare a cuore aperto dei loro problemi personali (in barba ad alla riservatezza tipica del popolo nipponico), fiduciosi di trovare qualcuno che sarà sempre disposto ad ascoltarli, che sia l’oste o uno dei rari personaggi ricorrenti nella serie.

Ogni puntata prende il nome da uno degli invitanti piatti cucinati dallo chef del nostro Midnight Diner, chiamato Masutā amichevolmente dai suoi affezionatissimi clienti.

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Questo personaggio, interpretato da Kaoru Kobayashi, non interverrà direttamente nella vita delle persone che entreranno nel suo piccolo locale, al massimo si limiterà a fare da spettatore o dare qualche consiglio di vita maturato dai suoi anni di esperienze, simboleggiati da una vistosa cicatrice sul viso della quale non ci viene mai raccontata l’origine, così come di tutto il passato del nostro Masutā.

Midnight Diner: un’armonia ridondante

Nonostante queste interessanti premesse però, la serie non riesce mai a decollare con dei picchi di qualità raggiunti nella seconda metà. Complice il fatto che Netflix ha reso disponibili solo le ultime due stagioni del dorama, lasciandoci all’oscuro delle caratteristiche salienti proprie dei pochi personaggi costanti tra le varie puntate.

Il difetto principale tuttavia non è questo: gli episodi sono tutti autoconclusivi e ciò, unito al ripetersi continuo dello stesso schema narrativo per ogni puntata (presentazione dei personaggi, svolgimento, climax e ristabilimento dell’ordine), rende la visione del dorama, alla lunga, poco interessante.

Infatti è una serie che tende a rassicurare gli spettatori, senza essere troppo cinica, con dei finali di puntata sempre positivi, tesi a ristabilire l’ordine interno del microcosmo nel quale sono immersi i personaggi e ad acquietare l’animo dello spettatore.

Midnight Diner: Tokyo Stories infatti è un dorama adatto a tutti i target (o almeno quelli non troppo giovani) e che cerca di farsi piacere da chiunque pagando un tributo di incisività.

L’investigazione sulla società giapponese e sulla psicologia dei personaggi manca di durezza, tendendo a preferire sempre approcci riappacificatori con la realtà circostante; in questo modo priva ogni conflitto di tragicità, pur mantenendosi sempre su toni malinconici e disillusi.

In conclusione si tratta una serie senza infamia né lode, da guardarsi con tranquillità e con poche pretese. Superiore ad alcune scadenti produzioni presenti sulla piattaforma certo, ma che comunque fatica ad entrare nell’animo di uno spettatore volenteroso di trovare qualcosa di nuovo e che lo arricchisca interiormente.

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