Pochi film possono essere considerati delle pietre miliari nella storia del cinema, pellicole che sono state in grado di rivoluzionare i generi, di trascendere le barriere del tempo per diventare dei capolavori immortali. Uno di questi è senza dubbio “Apocalypse Now”, un film in grado di rappresentare la guerra in maniera brutale, forte, inedita e sconvolgente.
Probabilmente anche grazie alla sua folle produzione: tra alcool, droghe, cadaveri e incendi, ecco il racconto di un film che avrebbe potuto non vedere mai la luce ma ha invece segnato il corso della storia del cinema.
E’ il 1969 quando John Milius finisce di scrivere la sceneggiatura “The psychedelic soldier”, prodotta da Francis Ford Coppola e destinata alla regia di un amico comune dei due autori, il giovane e promettente George Lucas. La sceneggiatura è liberamente ispirata al romanzo “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad e, nelle intenzioni iniziali, si propone come un film a basso budget di stampo semi-documentaristico.
Nel corso dei successivi 5 anni l’idea prende una forma più concreta, subisce qualche ristesura e una modifica di nome definitiva: il film si chiamerà “Apocalypse Now”, un nome dovuto alla rivisitazione di un motto molto popolare tra gli hippie, “Nirvana Now”.
Nel 1974 Coppola, che avrebbe dovuto essere soltanto il produttore, decide di diventare regista dell’opera dopo aver ricevuto i rifiuti di Milius e di George Lucas, quest’ultimo impegnato nella realizzazione di un “piccolo” film di fantascienza: “Star Wars”.
Le riprese del film iniziano nel 1976: la guerra in Vietnam è ormai finita e il Paese è un cumulo di macerie fumanti. Per questioni organizzative la pellicola dovrà quindi essere girata nelle Filippine, che però non sono in una situazione idilliaca.
L’allora Presidente Marcos è impegnato in una guerra civile con i ribelli musulmani e, pur avendo acconsentito all’utilizzo di aerei e mezzi dell’esercito filippino per il film, spesso si trova a doverli ritirare per farli partecipare a reali azioni di guerra.
Francis Ford Coppola, regista del film, inizia a capire che le 6 settimane previste per la realizzazione del film probabilmente non saranno sufficienti. Ancora non sa che si protrarranno per 16 mesi.
Dopo qualche settimana di riprese, iniziate durante la stagione delle piogge, un tifone spazza via buona parte del set. Oltre al notevole costo della ricostruzione, questo evento porta a uno slittamento dei tempi produttivi non indifferente.
Come se non bastasse, il protagonista della pellicola, Martin Sheen, scelto a pochi giorni dall’inizio delle riprese per sostituire Harvey Keitel, ha un problema di alcolismo e dipendenza da droghe.
Pur sapendo delle precarie condizioni di salute dell’attore, il regista decide di sfruttare la sua dipendenza per dare spessore al personaggio, ma finisce col calcare un po’ troppo la mano: l’attore ha un infarto sul set dopo aver girato alcune scene particolarmente intense.
Coppola e i suoi collaboratori decidono di nasconderlo alla produzione e cercano di sostituire l’attore con uno stand-in, il fratello Joe Estevez, che verrà inquadrato sempre di spalle e doppierà anche parte del voice over del film, ma per ovvi motivi non verrà mai accreditato nei titoli di coda.
Le difficoltà pratiche che la troupe si trova a dover affrontare portano a un ritardo dei tempi di produzione, e di conseguenza a un aumento notevole del budget iniziale (stimato tra i 14 e 16 milioni di dollari).
Coppola sa che per portare a termine il suo progetto dovrà inventarsi dei nuovi finanziamenti: la leggenda vuole che abbia minacciato il suo produttore di suicidarsi per ottenere un rincaro del budget, che comunque non sarà sufficiente.
Si trova quindi ad ipotecare la sua casa, dei vigneti e ad accendere un mutuo per ottenere i 30 milioni necessari per portare a termine il suo film.
Alle oggettive difficoltà gestionali si aggiunge anche un limite tecnico del cinema del tempo. Poiché si gira in pellicola, le riprese possono essere visionate solo una volta che la pellicola viene sviluppata in laboratorio.
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In tutte le Filippine non esiste una struttura in grado di sviluppare una tale quantità di girato, che viene quindi mandato in sviluppo a Roma alla Technicolor, il laboratorio di fiducia del direttore della fotografia Vittorio Storaro.
Questa necessità fa sì che il girato possa essere visionato solo 15 giorni dopo dal regista. Anche per questo motivo viene girata una quantità spaventosa di pellicola, in modo da prevenire la necessità di dover rigirare una scena filmata 2 settimane prima: 230 ore, corrispondenti a 1,250,000 piedi, circa 380km di pellicola Kodak 70mm.
Nonostante le numerose problematiche da affrontare ogni giorno, la folle devozione al progetto da parte di Coppola risulta contagiosa. I suoi collaboratori non solo non abbandonano il film nonostante le condizioni disastrose della produzione, ma cercano di dare sempre il massimo. Forse spingendosi un po’ oltre.
Lo scenografo Dean Tavoularis, per dare un tocco di realismo in più alla pellicola, decide di usare come oggetti di scena dei ratti morti. La moglie di Sheen, già abbastanza preoccupata per la salute del marito, chiede al co-produttore Gray Frederickson di parlare con Tavoularis per rimuoverli dalla scena.
Frederickson scopre che non solo sono stati usati cadaveri di ratti, ma anche di esseri umani, che vengono deposti con cura nella tenda degli oggetti di scena una volta finite le riprese della giornata, a pochi metri dal refettorio.
A quanto pare i cadaveri vengono procurati da un ragazzo filippino che solitamente li vende alle università per le lezioni di anatomia e che sarà poi l’unico a fare i conti con la giustizia.
L’atto finale di “Apocalypse Now” è noto per essere oscuro ed evocativo, quasi un sogno allucinato del protagonista che viene ammaliato dalla malvagità e dalla follia del suo antagonista, interpretato da nientemeno che Marlon Brando. Il linguaggio visivo delle scene finali, tuttavia, è dettato da un fattore tutt’altro che artistico.
Brando si presenta sul set dopo essere stato pagato 1 milione di dollari in anticipo e con un cachet concordato di 1 milione a settimana. E’ completamente calvo, costantemente ubriaco, in sovrappeso di 40kg, non riesce a memorizzare le battute e non ha mai letto il libro di Conrad da cui il film è tratto, “Cuore di tenebra”.
Coppola è disperato. L’attore assorbe tutto il suo tempo discutendo con lui delle sue battute, facendosi leggere il libro e improvvisando lunghi monologhi durante le riprese, che costringono il regista a riadattare costantemente la sceneggiatura.
Coppola decide di affidarsi totalmente a Storaro per le scelte stilistiche, dandogli il compito di non mostrare le pietose condizioni in cui versa Brando.
I chiaroscuri marcati, le penombre, le inquadrature di spalle e controluce, la scelta delle focali, insomma tutto ciò che varrà poi a Storaro l’Oscar per la miglior fotografia, viene dettato (anche) da un’esigenza pratica: cercare di nascondere l’attore.
Al termine delle riprese, nell’estate del 1977, Coppola è distrutto dall’esperienza, ma per lui il lavoro non è ancora finito. Il film va montato entro meno di un anno, con data di uscita prevista per maggio 1978.
Il lavoro, complice la quantità spaventosa di girato, non è per nulla semplice e si protrae per lungo tempo, tanto che il regista è costretto a posticipare la data di uscita 2 volte, facendola slittare alla primavera del 1979.
“Apocalypse Now” viene presentato ufficialmente al Festival di Cannes e, contro ogni previsione, riesce a vincerlo. Agli Oscar del 1980, nonostante le 8 nomination, il film vince solamente migliore fotografia e miglior sonoro.
Ma se i riconoscimenti ufficiali sono il frutto dei loro tempi e di mediazioni anche politiche, la consacrazione della pellicola è arrivata dalla Storia. “Apocalypse Now” è un film che non solo rappresenta la guerra, ma che è stato una guerra, uno dei film più famosi di tutti i tempi, fatto di immagini, atmosfere e personaggi che sono ormai parte di tutti noi.
Sono uno studente e appassionato di cinema che si sta muovendo per far diventare la passione un lavoro. Amo la fotografia, i videogiochi e la lettura, in sostanza tutto ciò che mi consente di rifugiarmi in mondi immaginari.
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